Aspettando gli Zatteroni – Racconto 3/3



In fuga sul Fibbio

 

Aspettando gli Zatteroni, pubblichiamo i racconti del Laboratorio di Scrittura di Viaggio a Villa La Valverde 1° e 2 giugno 2013, organizzati dalla Libreria Gulliver.

 

Buona lettura.

 

 

 

Reportage sulla Gara degli zatteroni di Montorio Veronese, decima edizione, 2 giugno 2013.

 

In fuga sul Fibbio

Giulio Fanton

 

zatteroni racconti 3Alla fine il direttore ha detto “si”. Merito della buona condotta che ho tenuto nei due anni di detenzione. Due anni nei quali non ho chiesto nulla e cercato di dare un senso ai giorni, rendendomi utile ai secondini e ai compagni di reclusione. Saluto rispettosamente gli agenti di custodia abbassando gli occhi e li chiamo sempre “capo” quando mi interpellano. Merito anche dell’assistente sociale e dello psichiatra, e di Antonio.
Antonio, un maresciallo che deve averne viste tante negli anni di servizio, mi beneficia della sua considerazione. Aveva cominciato l’anno scorso a chiedermi notizie di casa quando arrivava posta e adesso chiacchieriamo un po’ tutti i giorni.
Un mese fa ho presentato domanda di permesso premio per buona condotta. Quando Antonio ha saputo della domanda, è entrato in cella e mi ha chiesto brusco: «cosa farai se ti danno il permesso?»
«Non lo so», ho risposto. «Mi basta respirare un po’ di aria libera e mettere i piedi fuori di qua.»
«Perché non vieni con me a correre la gara degli zatteroni?»
«Cosa?»
«Si. Qui a Montorio a giugno c’è questa festa sul Fibbio e la corsa sul fiume con zattere fai-da-te. Sono ormai dieci anni Dai, penso a tutto io e dopo vieni a cena a casa mia che mia moglie prepara la caponata di melanzane migliore del mondo.»
«Cosa dirà il direttore?»
«Non ti preoccupare. Ci penso io!»
Ci ha pensato e ora eccomi qua in mezzo a gente in festa. Non ci sono più abituato e sono sempre in ritardo quando qualcuno mi rivolge la parola. Sono sobbalzato un paio di volte perché mi hanno battuto la mano sulla spalla; mi sono messo sulla difensiva, le mani chiuse a pugno. Erano concorrenti che volevano semplicemente presentarsi. Antonio mi ha fatto conoscere sua moglie; ai suoi bambini mi ha presentato come un collega e con suo cognato ci siamo bevuti un paio di bicchieri di vino. Buono, dolce e liquoroso. Recioto, ha detto.
È il momento della vestizione: sopra la maglietta e i pantaloni della tuta ho indossato un salvagente e un giubbetto fluorescente; in testa un caschetto protettivo.
Quando metto piede sulla zattera mi tremano le gambe. Antonio mi mette in mano una pertica di bambù e mi strizza l’occhio.
«Tranquillo! Cerchiamo di arrivare in fondo in piedi, ma anche se cadiamo, non importa. Ci faremo una bella risata.»
All’inizio sono rigido come un baccalà; ho paura di tradire la fiducia del capo; ho paura che il pubblico capisca chi sono; ho paura. Poi, un po’ per volta mi rilasso. Saranno gli applausi, saranno gli sfottò che arrivano dalla riva, saranno le occhiate di intesa che ci scambiamo io e Antonio. Ormai mi sono adattato anche al movimento della zattera sotto di me e la guido spostando il peso sulle ginocchia.
Troppo divertente, troppo. Il traguardo è lì, a pochi metri. Presto saremo arrivati. Mentre sorrido ancora una volta, un pensiero mi attraversa la testa: “domani non voglio tornare dentro a guardare il cielo sopra al muro grigio del cortile e respirare il fumo vecchio dei miei compagni di cella.”
Alzo la pertica e guardo Antonio negli occhi. Capisce che mi sto congedando e si rannicchia appena per assorbire il colpo. Lo spingo delicatamente con la pertica, di punta perché gli voglio bene. Non so se sono io a farlo cadere o se si butta giù lui. Un movimento di ginocchia per stabilizzare la zattera e via, spingendo il fango sul fondo del fiume, ora da un lato ora dall’altro. Via verso la libertà, finché mi fermeranno.

 

 

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