La tragedia di Marcinelle 59 anni dopo e il lavoratore Giuseppe Corso partito da Montorio
08 Agosto 2015
Comunicato stampa N° 1025 del 08/08/2015
(AVN) Venezia, 8 agosto 2015
“Oggi è il giorno della memoria e del doveroso tributo ai tanti nostri connazionali che hanno perso la loro vita nei luoghi di lavoro in ogni parte del mondo. Oggi abbiamo il dovere morale e istituzionale di ricordare la moltitudine di donne e di uomini che dovettero lasciare il nostro Paese per trovare altrove i mezzi di sostentamento per sé stessi e per le loro famiglie, per cercare di dare un futuro dignitoso ai propri figli: molti non tornarono più nella terra che furono costretti ad abbandonare. Ma oggi, 8 agosto, il giorno della tremenda tragedia di Marcinelle di 59 anni fa, è soprattutto la giornata del legittimo orgoglio di un popolo che onora chi con la sua fatica, la sua attività e il suo sacrificio ha contribuito allo sviluppo e al benessere di città e nazioni che lo avevano accolto, dando un esempio, tutt’altro che superato, di coraggio, di rispetto e di generosità”.
Con queste riflessioni il presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia, partecipa alla giornata del sacrificio del lavoro italiano nel mondo, istituita nel giorno della tragedia del Bois du Cazier, la miniera belga nella quale perirono 262 uomini: 136 erano italiani, tra cui cinque veneti.
“Dino Dalla Vecchia di Sedico, Giuseppe Polese di Cimadolmo, Mario Piccin di Codognè, Guerrino Casanova di Montebelluna e Giuseppe Corso di Montorio Veronese – ricorda Zaia – morirono nelle viscere della terra, in quella che fu una strage che lasciò centinaia di vedove e di orfani. Loro sono il simbolo di un’emigrazione che parla di sfruttamento, di condizioni di vita e di lavoro talvolta disumane, di una piaga che va ancora e costantemente combattuta, laddove si manifesta, anche nel nostro Paese. Così come va affrontato tale fenomeno ‘al contrario’, cioè quello dei flussi disordinati di persone che non scappano dalla guerra, dalla povertà o dalla fame, ma rincorrono il guadagno facile mischiandosi subdolamente a chi ha realmente bisogno di aiuto, alimentando spesso un circuito di illegalità e criminalità. Paragonare questa immigrazione a quella di cui furono protagonisti i veneti negli anni e nei secoli scorsi sarebbe mancar loro di rispetto”.
Ricordiamo che Giuseppe Corso era il primo di cinque fratelli di una numerosa famiglia di Montorio che nell’immediato dopo guerra partì all’età di 26 anni con la valigia colma di speranze, come tanti altri italiani “merce di scambio tra Italia e Belgio”, per lavorare nelle miniere di carbone di Marcinelle. Un lavoro duro quello degli “abbateur” come venivano chiamati gli emigranti che scavavano il carbone nella miniera di Bois du Cruzier. Tra i pericoli il maggiore era il grisou: un gas molto insidioso, inodore e altamente infiammabile presente nelle miniere di zolfo e carbone, che fu la causa dell’immane tragedia.
L’accordo uomo – carbone
Il 23 giugno del ’46 De Gasperi firmò un accordo con il Ministro belga Van Hacker che prevedeva l’acquisto di carbone ad un prezzo normale di mercato, in cambio dell’impegno italiano di mandare 50 mila uomini per il duro e pericolosissimo lavoro in miniera. Tra il ’46 e il ’57 in Belgio arrivarono 140 mila italiani.
Secondo lo stesso accordo, gli uomini dovevano avere “un’età ancor giovane (35 anni al massimo) e un buono stato di salute”. Per loro, un contratto di 12 mesi, “una pala, una piccozza, un casco, una lampada”, e via verso l’oscurità. L’impegno del Governo italiano era quello di inviare almeno 1.000 minatori a settimana nei cinque bacini carboniferi belgi e, per ogni emigrato che andava in Belgio, l’Italia avrebbe ricevuto 200 chili di carbone al giorno.
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La foto della cerimonia
La via dedicata a Giuseppe Corso a San Felice
Marcinelle, «Italians, Belgians or Europeans?»
Il documentario sull’emigrazione italiana in Belgio di Irene Giuntella – Francesca Polistina – Valentina Pavarotti – CorriereTv
La Storia siamo noi – Il Filmato: L’accordo uomo – carbone
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