Frane e alluvioni, ecco dove Verona rischia. L'Adige è molto insidioso ma pericoli dal Fibbio e nell'Est veronese.
L'Arena 07 Agosto 2015
Frane e alluvioni, ecco dove Verona rischia
L'Adige è molto insidioso a nord della città; pericoli dal Fibbio e nell'Est veronese. Fragili i costoni del Garda. Lessinia più sicura
L'altro giorno la frana a San Vito di Cadore, nel bellunese, ha travolto e ucciso tre persone. Una tragedia avvenuta a un anno esatto da un'altra calamità naturale che ha colpito il Veneto, nel trevigiano: la piena del Refrontolo che ha inondato improvvisamente una festa paesana lasciando al suo passaggio quattro vittime.Situazioni straordinarie che però si presentano sempre più frequentemente. E che, potenzialmente, possono coinvolgere anche il Veronese. Tra città e provincia, infatti, ci sono parecchie zone ad elevato rischio idrogeologico: sia per quel che riguarda frane e avvallamenti, sia per esondazioni e allagamenti.La media dei Comuni veneti a elevato o molto elevato rischio idrogeologico è del 18 per cento. Un dato preoccupante che però scende drasticamente per il veronese dove la percentuale di territorio maggiormente esposto a dissesti, frane e allagamenti è del 3 per cento. Un numero che tranquillizza ma solo in parte. Anche vaste zone di città, ma soprattutto della provincia, sono ad alto rischio. Si tratta di tutto il territorio della Val D'Alpone, caratterizzato da terreni argillosi e impermeabili che non sono in grado di drenare grossi quantitativi d'acqua con un alto rischio di alluvioni a fronte di forti piogge e delle ormai tristemente note bombe d'acqua.E ancora, più vicino al centro, preoccupano le aree adiacenti all'Adige in zona Porto San Pancrazio e le risorgive di Montorio. E ancora, gli abitati vicino al Fibbio tra San Martino Buon Albergo, Vago e San Pietro di Lavagno. Sempre per l'Adige, in caso di piena, l'attenzione è altissima tra Bussolengo e Pescantina. Mentre per quel che riguarda il dissesto della terra, il rischio è molto elevato soprattutto nei paesi dell'alto Garda.Non preoccupa, invece, la Lessinia. Pur martoriata dalle molte cave che hanno scavato le montagne ai piedi dell'altopiano lessinico, «si tratta comunque di rocce carsiche, in grado di drenare grossi quantitativi d'acqua molto velocemente», spiega Roberto Cavazzana, vice presidente Geologi Veneto. Più che contro la natura, che sì sta martoriando in questi anni il suolo con piogge torrenziali ma non più che nei decenni passati, il dito dei geologi è puntato contro lo sfruttamento incondizionato e, a volte, irrispettoso del territorio. «Abbiamo intervalli di tempo d'osservazione che sono molto lunghi. E periodi di ingenti acquazzoni non è certo la prima volta che si presentano», spiega Cavazzana. «Il problema è che negli anni del boom economico si è costruito dove si doveva e non dove era opportuno: per troppi anni nell'edilizia, le competenze della geologia sono state trascurate. E ora ne stiamo pagando le conseguenze. Gli stessi Pat, Piani di assetto territoriale dei Comuni, difficilmente tengono conto della natura del territorio sul quale si intende edificare», denuncia Cavazzana.«Da agosto ad ottobre è il periodo di maggiore rischio soprattutto per un territorio malato come quello italiano. I mari si sono riscaldati e favoriscono il mantenimento prolungato di cellule temporalesche cariche d'acqua. Ogni anno in Italia, proprio in questo periodo si verificano puntualmente eventi calamitosi», ha spiegato all'indomani della frana in Cadore, anche Gian Vito Graziano, presidente del Consiglio Nazionale Geologi.
Ilaria Noro
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