La vecchia Filanda


La vecchia Filanda

Pubblicato il 2/10/2014 –  Aggiornato il 26/01/2019

Brevi notizie storiche

a cura di Gabriele Alloro

 

La vecchia FilandaAl civico 14/a di via Laghetto Squarà, poco sotto l’antica Pieve, si erge un grande edificio di sei piani con una elegante torretta sul lato sud. Si tratta dell’ex Setificio Simeoni (poi Turri), meglio conosciuto come “Filanda”.

Sorto nel 1858 su un mulino formato da due edifici preesistenti da secoli, assieme al Cotonificio Turati costituì una delle prime industrie dell’era moderna in territorio veronese.

Così ci viene brevemente descritto l’opificio in un lungo articolo apparso il 23 maggio 1858 sul giornale “La Specola d’Italia”: “[…] Il torreggiante edificio sorge maestoso al centro del villaggio, fiancheggiato da una variopinta torricella. La forza motrice è somministrata dal Fiumicello di Montorio e comunicata da una ruota motrice a pale curve […]. Al pian terreno dell’edificio si stabilì un’officina meccanica fornita dei migliori stromenti […]. Il centro del meccanismo è nelle pianelle di torcitura. Vi si producono esclusivamente sete cucirine […]”.

In questo grande setificio trovarono lavoro circa 300 operai d’ambo i sessi e la perfezione della seta lavorata ivi prodotta era stata in precedenza premiata dalla Grande Medaglia di Prima Classe che un Giurì Mondiale attribuì alla Ditta Simeoni in occasione dell’ Esposizione Universale di Parigi del 1855.

Nel 1870 la proprietà venne acquisita da Felice Turri il quale proseguì l’attività del setificio per una dozzina d’anni, trascorsi i quali Luigi Turri prese le redini dell’impresa trasformandola prima in filanda e quindi, dal 1889, nuovamente in setificio.

Fra alterne vicende l’attività proseguì fino al 1912, anno in cui cessò definitivamente l’attività legata alla lavorazione della seta.

La chiusura dello stabilimento fu un brutto colpo per l’economia del paese, sia dal punto di vista produttivo che da quello sociale. Molte furono le persone che rimasero senza lavoro ed altrettante le famiglie che si ritrovarono senza sostentamento. Gran parte dello stabile rimase inutilizzata, anche se dal primo dopoguerra fino agli anni ’70 nei piani inferiori operò un mulino per la macinazione del gesso e di terre colorate.

Nel 1974 gli eredi Turri vendettero l’intero complesso alla Cartiera di Cadidavid e contestualmente iniziarono a circolare insistenti voci di un abbattimento dell’immobile a cui però pose il veto la Soprintendenza ai Monumenti in virtù dell’importanza archeologico-industriale della costruzione.

A cavallo tra gli anni ’80 e ’90 la vecchia Filanda cambiò nuovamente proprietario e di lì a poco venne presentato al Comune di Verona un progetto di ristrutturazione dell’edificio con destinazione ad uso abitativo.

Il vecchio fabbricato industriale fu quindi trasformato in un condominio di diciotto appartamenti che ha comunque mantenuto inalterata la struttura esterna originaria e che conserva tutt’ora sul retro lo scheletro in ferro e ghisa della vecchia ruota da mulino del secolo XIX.

© Gabriele Alloro, 2014


Prima della costruzione dell’edificio nel 1858, nell’area un tempo chiamata “Contrada dei Mulini”, poi via dele Cartere, e oggi via Laghetto Squarà, era presente uno storico mulino appartenuto nel 1561 a Lattanzio Fiorentino, importante commerciante di tessuti. Il mulino servì per la molitura dei grani fino al 1857. Successivamente la proprietà passò a Giovan Battista Simeoni che lo commutò in meccanificio da seta per sete cucirine.

Informazioni ricavate da: 

I. Poggiani, Sistemi di industrializzazione nel paesaggio di Montorio veronese, Tesi di laurea in Architettura del Paesaggio, Corso di Laurea in Beni Culturali, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli Studi di Verona, rel. Daniela Zumiani, a.a. 2006 – 2007,p. 16


Testimonianza di Patrizia Biagini (Gruppo Facebook “Mi ti e Montorio“): Ci lavorava mia nonna Maria Mel. Raccontava che aveva 9 anni quando iniziò: prendevano le bambine perché con le manine riuscivano meglio a prendere i bachi da seta dall’acqua bollente e a sbozzolarli. Durante le visite ispettive venivano rinchiuse anche per un giorno intero al buio in un sottoscala…


Alla fine del 1800 la grande ruota idraulica dalle pale curve alla Poncelot viene affiancata da una caldaia a vapore che produce energia per 40 cavalli. La lavorazione di produzione della seta prevede una prima fase denominata trattura nella quale i bozzoli vengono immersi in bacinelle di acqua bollente a 70/80 gradi per togliere la sericina, una sostanza oleosa che copre il bozzolo e quindi riunire la bava per formare il filo.

Nel setificio Turri questa operazione viene effettuata da 70 operai (di solito sono ragazze) con 11 bacinelle a vapore e il lavoro è suddiviso in due parti: una prende i bozzoli e li immerge nell’acqua bollente, l’altra cerca il capo del filo di seta per avvolgerlo nell’aspo dove con altri fili forma un solo e sottilissimo filo che si raccoglie in una matassina: “…Li era un inferno. Acqua bollente e per tutto il giorno le mani si immergevano in quell’acqua. L’ambiente era caldissimo 50 gradi e l’umidità altissima perché la seta non si spezzasse. Le finestre non potevano essere aperte sennò un colpo d’aria poteva creare casino alla seta…

Nel setificio Turri alla fine del XIX secolo oltre ai 70 operai addetti ai fornelli sono occupate nelle operazioni di torcitura e incannaggio e nelle altre inerenti di doppiatura e pulitura anche 171 operaie, di cui 21 in età inferiore ai 15 anni, con 2660 fusi attivi. Le bambine sono molto ricercate perché hanno manine delicate e non costano niente.

Fonte informazioni: S. Spiazzi, San Martino delle Chartere: storia delle attività industriali lungo il Fibbio negli antichi territori di Montorio San Martino Buonalbergo e Marcellise, Biblioteca Comunale Don Lorenzo Milani, San Martino Buon Albergo, 2006


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