1957: ritorno sull’Ortigara. La gita degli alpini di Montorio
Dal racconto di Antonio Pagangriso
L’Ortigara è una montagna, alta 2105 metri, situata in Provincia di Vicenza, lungo il confine fra Veneto e Trentino-Alto Adige, nella parte settentrionale dell’Altopiano dei Sette Comuni. Nell’estate del 1917, durante la prima guerra mondiale è stata teatro di sanguinosissime battaglie: divenne la tomba di 2696 soldati e 169 ufficiali. Furono feriti 16.018 soldati e 5.502 risultarono dispersi. Erano presenti anche due battalgioni del Sesto Reggimento Alpin: il Sesto «Verona» e il «Monte Baldo» che pagarono con 96 alpini e 6 ufficiali caduti, 965 soldati e 28 ufficiali feriti e 149 dispersi
Tra i presenti allo scontro anche alcuni montoriesi. Due di loro, nel 1957, dopo 40 anni dagli scontri sono tornati a visitare i luoghi della battaglia. Assieme a loro c’era anche Antonio che ricorda così la gita – pellegrinaggio sull’Ortigara, la montagna nota come il cimitero degli alpini.
Da pochi mesi ho finito il servizio militare negli alpini e mio padre che gestisce l’Associazione alpini in congedo di Montorio ha organizzato per il 10 luglio 1957 una gita pellegrinaggio all’Ortigara, in occasione del 40° anniversario della battaglia per conquistare la famosa quota 2105. Fra i partecipanti ci sono alcuni reduci che hanno partecipato della battaglia, hanno combattuto e hanno visto morire tanti alpini loro amici.
Non è stata una gita, ma un vero e proprio pellegrinaggio, che ha permesso ai partecipanti di visitare i luoghi principali nei quali sono avvenuti gli scontri del conflitto tra il 1915 e il 1918: dal sacrario del monte Pasubio, ad Asiago, passando da Gallio e monte Lozze, località in cui i nostri nonni e padri in armi, hanno combattuto e versato tanto del loro sangue.
A monte Lozze le auto sono state parcheggiate e lentamente siamo saliti sul versante del monte fino a quota 2105 del monte Ortigara: una esperienza commovente. Abbiamo percorso lo stesso tragitto assieme a Romano Zenari e Marcello Mosconi, due alpini, che hanno partecipato il 10 Giugno 1917 alla battaglia.
E’ stato come rivivere una vera pagina di storia raccontata dai protagonisti: Romano e Marcello ci hanno indicato con estrema precisione il punto di partenza dell’assalto finalizzato ad attaccare e conquistare le linee austriache poste ad una quota più elevata, fortificate e dominanti, partendo da posizioni sfavorevoli, esposti ai colpi dei nemici e costretti a passare in mezzo ad un inferno di fuoco, da cima del Campanaro verso il passo dell’Agnella.
Romano e Marcello erano due sergenti del battaglione Verona. Il loro compito consisteva nel guidare le loro squadre verso la cima. Ad un certo punto in prossimità del passo dell’Agnello Romano si ferma e ci indica un grosso sasso: “Mi ero accucciato lì dietro al masso un attimo per riprendere fiato e per individuare il momento giusto per saltar fuori e riprendere l’assalto. Improvvisamente un enorme Kaiserjäger (letteralmente un cacciatore del Kaiser ovvero dell’imperatore, un soldato del reparto di fanteria leggera) mi viene contro urlando con il fucile con la baionetta innestata pronto ad infilzarmi. Non c’è tempo per pensare: nel mio fucile ho il colpo in canna, mi sposto un attimo e faccio fuoco. O io o lui. Colpito in pieno rotola a terra pesantemente. Ma non è finita. Bisogna alzarsi e riprendere l’attacco. Salire non è facile le mitragliatrici dall’alto spazzolano il terreno davanti a te” E’ Marcello a questo punto che riprende: “Ecco vedi, li sono stato ferito. E’ stato il nostro cappellano don Bepo che è venuto a recuperarmi. Era molto coraggioso, sembrava schivare le pallottole. Ha salvato molti feriti portandoli in salvo nelle retrovie. Era di corporatura molto robusta, era forte, alzava il suo Crocifisso, per avvisare i nemici che stava soccorrendo feriti. Mi ha caricato sulle sue spalle ed è ripartito velocemente verso la linea di difesa un po’ più al riparo”.
Dall’alto della cima si vedeva giù tutta la Val Sugana. Una vista meravigliosa che ci ha permesso di capire perché gli Austriaci potevano tenere così bene le loro posizioni: il treno della Valsugana arrivava fin sotto la montagna e con delle teleferiche potevano rifornire facilmente la prima linea.
Nonostante fossero passati 40 anni dalla battaglia la montagna era ancora tutta sconvolta. In mezzo ai sassi si vedevano ancora molti proiettili d’artiglieria, qualche elmetto, resti di fucili ed altro ancora. Non occorreva molta fantasia per immaginare il teatro di guerra.
Con noi in gita c’era anche Francesco Todeschini arruolato nell’artiglieria da montagna. Lui era addetto al cannone di calibro 75/13. Un piccolo obice trasportabile a dorso di mulo. Francesco ci ha raccontato come è stata la preparazione dell’assalto. Ogni cannone aveva un obiettivo assegnato che doveva essere bombardato continuazione per 12 come azione preparatoria: “E’ difficile immaginare quanti colpi avevamo sparato, ma erano così tanti che abbiamo perfino sostituito la canna del cannone e non solo del mio. Ma quelli sopra avevano dei ricoveri in gallerie, erano ben protetti e i nostri soldati quando hanno attaccato si sono trovati ancora tutti i nemici in forze. Comunque l’Ortigara, se pur a caro prezzo, si parla di 10.000 morti, quel giorno è stata conquistata, ma poi non si è potuta tenere ed è tornata in mano al nemico”.