Due coppie di Moruri «Giusti tra le nazioni»: salvarono una famiglia di ebrei dall’olocausto
La medaglia è stata consegnata al figlio dei signori Zenari, Angelo e alla figlia dei signori Lonardoni, Delia dall’addetta culturale dell’Ambasciata di Israele a Roma Sara Ghilad e dal Sindaco di Verona Flavio Tosi.
A raccontare la storia dei 18 mesi di permanenza a Moruri della sua famiglia Renato Finzi, 70 anni, ex assessore comunale, salvato dalla deportazione insieme a genitori, nonni, zie e nonna materna, grazie all’ospitalità dei coniugi Zenari e Lonardoni e alla collaborazione di tutti gli 800 abitanti della piccola frazione veronese. E’ stato lui a segnalare il nome dei suoi salvatori al Yad Vashem, l’istituto israeliano per la commemorazione dei martiri e degli eroi dell’Olocausto, che assegna il riconoscimento di “Giusto fra le Nazioni” a quanti salvarono la vita ad ebrei durante la seconda guerra mondiale, incuranti dei rischi e dei pericoli a cui andavano incontro.
Il nome delle persone a cui viene riconosciuto il titolo di “Giusto fra le Nazioni” viene aggiunto a quelli incisi sul muro dell’Onore nel Viale dei Giusti a Gerusalemmme. In Italia i Giusti fra le Nazioni sono 450.
Ospitarono tra il 1943 e il 1945 otto ebrei che erano fuggiti da Verona per timore delle persecuzioni anti giudaiche delle truppe nazi-fasciste. In paese tutti sapevano di noi ma nessuno li denunciò ai tedeschi. Lo Stato di Israele ha iscritto i loro nomi nel Giardino dove sono ricordati coloro che aiutarono i perseguitati.
di Elena Cardinali da L’Arena di Verona del 28 settembre 2008
Salvarono dall’Olocausto una famiglia veronese di religione ebraica. E ora lo Stato ebraico, attraverso lo Yad Vashem, il Memoriale ufficiale di Israele, ne onora la memoria iscrivendo due coppie di coniugi veronesi, Giuseppe e Genoveffa Lonardoni ed Eugenio e Teresa Zenari nel giardino dei «Giusti tra le nazioni», il massimo riconoscimento conferito alle persone che si sono prestate a salvare ebrei durante la persecuzione nazista. A fine anno, tramite gli incaricati del Governo israeliano, saranno consegnate ai figli di queste due coppie due medaglie d’oro in segno concreto di riconoscenza del popolo d’Israele nei confronti dei loro congiunti.
– La storia
A raccontare questa storia che si svolse tra il 1943 e il 1945 tra Verona e Moruri è uno dei protagonisti, Renato Finzi, 70 anni, che fu assessore a Verona tra il 1980 e il 1991. È stato proprio grazie al suo interessamento che lo Stato d’Israele è venuto a conoscenza della vicenda dei coniugi Lonardoni e Zenari, avviando così l’iter per il riconoscimento del loro generoso gesto nei confronti della famiglia Finzi. «Nel luglio del 1943 io e i miei genitori, Silvio Finzi e Adriana Rimini, vivevamo a Verona in piazza Bernardi, non lontano dalla stazione di Porta Vescovo», racconta Finzi. «Ero piccolo, non potevo capire tutto ma intuivo l’angoscia a casa. I mei erano molto preoccupati per i bombardamenti e per l’imminente occupazione tedesca, che per gli ebrei voleva dire deportazione. Fu così che i miei familiari decisero di lasciare la città».
– A Moruri
Renato Finzi, che ha ricostruito la vicenda della fuga dalla città della sua famiglia attraverso ricordi personali e raccolta di testimonianze tra i congiunti che vissero in quel periodo spiega perchè la scelta di Moruri:«Ogni settimana veniva dalle nostre parti, una signora di Moruri, Genoveffa Lonardoni, per fare un po’ di commercio con uova, burro e qualche pollo. Con lei s’era instaurata una certa familiarità. E fu a lei che ci rivolgemmo quando, tra l’8 e il 9 settembre del 1943 le forze armate tedesche occuparono Verona. Lei e la famiglia Zenari ci affittarono qualche stanza nelle case in paese e così potemmo lasciare la città».
– Famiglia in fuga
Oltre ai tre Finzi, a Moruri si trasferirono anche i nonni paterni: Giorgio, nato nel 1873, direttore in pensione dell’ufficio Imposte di Verona (nel dopoguerra diventerà il presidente della Comunità ebraica veronese, tra il 1946 e il 1951) e la moglie Ebe Rimini, nata nel 1880. Con loro partirono anche le sorelle di Giorgio, Jolanda, del 1901 e Irma, del 1912. Più tardi arrivò anche la nonna materna di Renato, Elisa Rimini Cases, nata a fine ‘800. In tutto otto persone trovarono rifugio a Moruri nelle case delle famiglie Lonardoni e Zenari.
– Scelta rischiosa
Nell’inverno tra il 1943 e il 1944 la situazione si fece molto difficile, racconta Finzi. «Lo svilupparsi della guerriglia partigiana nelle prealpi veronesi e vicentine, considerate dai tedeschi naturali vie di fuga, la collocazione a Verona del Comando generale della polizia tedesca e delle SS per l’Italia, il fatto che Verona fosse a tutti gli effetti la capitale della Repubblica Sociale, l’apparire in quei mesi di bandi che minacciavano pesantemente tutti coloro che davano aiuto ai partigiani e agli ebrei, con conseguenze che andavano dalla confisca dei beni, alla distruzione della casa fino alla fucilazione, rendeva tutti ovviamente molto timorosi».
– La decisione
E accadde così qualcosa di eccezionale, forse di miracoloso, dice Finzi:«Le famiglie Lonardoni e Zenari che ci ospitavano fecero una specie di summit con il parroco e altri capofamiglia del paese per capire cosa dovevano fare. La paura era tanta ma quella gente non voleva nemmeno abbandonarci al nostro destino. So, da testimonianze indirette, raccolte in paese, che fu lo stesso parroco a consigliare ai nostri padroni di casa di continuare a tenerci con loro. Sono convinto che l’orientamento favorevole ad aiutare e proteggere gli ebrei da parte di vescovi e parroci ebbe anche a Moruri una grande importanza, perchè nelle zone collinari e montane veronesi e venete la Chiesa cattolica e i suoi sacerdoti erano l’unica autorità realmente riconosciuta come tale e accettata in coscienza».
– Tutti salvi
Nei 18 mesi di permanenza a Moruri le famiglie ospitanti e anche altre del paese offrirono ai Finzi i generi alimentari indispensabili. «Va detto», precisa Renato Finzi, “che noi non avevano documenti falsi e che tutti gli 800 abitanti di Moruri erano a conoscenza della nostra presenza in paese. Ma nessuno andò dai comandi nazisti o fascisti a denunciarci per riscuotere i premi in denaro previsti per le delazioni. La mia riconoscenza va quindi a tutti. E aggiungo una curiosità. Seppi poi che il nostro padrone di casa, Giuseppe Lonardoni detto Bin, era stato negli anni Trenta un fervente fascista, sergente dell’esercito, e anche volontario in Etiopia e Spagna. Ma ruppe ogni legame con il Fascismo quando seppe delle terribili condizioni dei soldati sul fronte russo. Nel 1945, con l’arrivo a Verona e a Moruri degli Alleati, tutto finì. Ma la mia riconoscenza per queste persone resterà infinita”.