La Comarona: 35 anni a far nascere montoriesi 1


Olimpia Acampora: ricordo di una “levatrice”

7 maggio 1959

“Domenica mattina alle 11 l’assessore alla Sanità prof. Francesco Pomini consegnerà all’ostetrica Olimpia Acampora un diploma e una medaglia d’oro offerta dalla popolazione di Montorio per i 35 anni di attività svolta nella nostra frazione. La manifestazione promossa da un apposito comitato vuole essere un segno di riconoscenza dei montoriesi alla benemerita cittadina.[1]

Così il 7 maggio 1959 il giornale “Corriere del Mattino” annunciava la cerimonia in onore di Olimpia Acampora, conosciuta e chiamata da tutti i compaesani la “comarona”. Come molti altri, Gianni Maistri ricorda con affetto Olimpia “come una donna estroversa, a volte un po’ burbera, sempre pronta alla battuta, anche provocatoria. La si vedeva spesso seduta davanti alla sua casa all’inizio di via delle Logge, chiamava ad alta voce le persone per salutarle e fare qualche allegra chiacchiera. Era l’unica che poteva permettersi, a quel tempo, di dare una pacca sulla schiena al parroco di Montorio don Leone e chiamarlo bonariamente usando appellativi poco signorili.” Sempre disponibile, era conosciuta da tutti perché per lungo tempo fu la “levatrice” del paese. Arrivò a Montorio nel 1934 e per i 35 anni successivi si dedicò con devozione a far nascere generazioni di montoriesi.

Foto dall’archivio di Gianni Maistri


Ma perché tutti la chiamavano la comarona?
 Alcuni potrebbero pensare che fosse solo un soprannome bonario per definirla, legato al suo carattere estroverso e alla sua figura corpulenta, ma in realtà il termine comare nella tradizione secolare veniva usato anche per definire il ruolo della levatrice. La sua etimologia infatti risale a “comare” o “commare”, dal latino tardo: commater, composto di “cum” e “mater” madre (con madre), cioè la madrina, donna che tiene a battesimo o a cresima un bambino e in molte regioni d’Italia era proprio la levatrice a rivestire questo ruolo; da qui l’uso del termine comare per indicare la levatrice.

Ma chi era la levatrice?
L’ostetrica, chiamata anche levatrice perché leva il neonato dal corpo della donna, è stato un tradizionale mestiere femminile, basato, almeno fino alla fine del 1700, su conoscenze empiriche. Nel ‘700, con l’Illuminismo e con le mutate esigenze politiche che richiedevano una migliore tutela della salute, finalmente divenne oggetto di interessamento dei governanti. Si avvertì la necessità di un’adeguata istruzione delle levatrici e la nascita di scuole per impartire le nozioni necessarie di arte ostetrica, per far fronte alla moria di donne e bambini durante il parto e per arginare l’esercizio abusivo della professione. Nel corso dell’800 nacquero i primi reparti di maternità, che si svilupparono negli ospedali delle citta` più importanti; nonostante ciò si continuò a partorire in casa, sia perchè la donna in ambiente famigliare si sentiva più a suo agio, sia perché l’ospedale era visto come l’ultima risorsa nei casi gravi. Contrariamente a quanto si possa pensare, un tempo le mura domestiche erano molto più sicure rispetto alle corsie di un ospedale; le possibilità di contrarre infezioni erano molto alte, le febbri puerperali raggiungevano livelli preoccupanti.  Non ci si deve stupire, ma la sicurezza ospedaliera migliorò solo quando il medico ungherese Ignac Semmelweis nel 1847 “scoprì” che, nelle cliniche ostetriche, l’alta incidenza di febbre puerperale poteva essere drasticamente ridotta semplicemente mediante la disinfezione delle mani. Si dovette attendere il 10 febbraio 1876 per vedere infine approvato il “Regolamento delle Scuole di Ostetricia per levatrici” e con la legge sanitaria Crispi del 1888 vennero stabilite le condizioni per poter esercitare la professione di ostetrica.

Perché la levatrice era così importante nei paesi?
La figura della levatrice nel mondo contadino godeva di un grande prestigio, poiché aiutava a dare la vita.  Il parto, diversamente da oggi, veniva considerato una storia esclusivamente femminile, un insieme di azioni che si svolgevano nell’intimità di un ambiente prettamente fatto di donne. L’arte dell’assistere, fatta di gesti pratici, era pertinenza assoluta delle donne che si tramandavano conoscenze e sapere da una generazione all’altra. Fino a tutta la metà del XX secolo la stragrande maggioranza dei parti continuava ad avvenire a domicilio, tra le mura di casa; non si chiamava il medico, ma si faceva venire la levatrice, che non era solo la professionista che presiedeva alle nascite, era soprattutto una persona di fiducia che stabiliva con la famiglia e la comunità presso la quale operava, un forte legame di empatia. La levatrice rappresentava una delle figure di riferimento del paese assieme al parroco, farmacista e il medico, ed era anche la custode discreta dei segreti intimi di molte famiglie.

Marta Morbioli


Nota [1] Ricerca d’archivio di Luigi Alloro


Foto di Gianni Maistri


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