Davide Posenato il guerriero coraggioso


L’intervista di Sportdipiù Magazine a Davide Posenato

Davide Posenato è un guerriero coraggioso. Dal 2014 impugna una racchetta da badminton che simboleggia la forza, la volontà e la determinazione con cui si è riappropriato della sua vita dopo un ictus durante un allenamento di calcio che ha stravolto inevitabilmente la sua quotidianità. Il classe 1995 di Montorio col passare delle stagioni è diventato sempre più padrone dei propri mezzi e, nonostante l’inutilizzo di braccio e gamba destra, attualmente riesce a dare filo da torcere anche ai normodotati. La sua storia è un grido di speranza che non vuole restare inascoltato.

Davide, la passione per il badminton in un certo modo ti ha sempre accompagnato, giusto?

 «Si, hai perfettamente ragione. Sono sempre stato un appassionato di sport e da quando ho incominciato questa ‘nuova vita’ ho dovuto riscoprire abilità nascoste e dimenticate di quando ero un bambino. Il badminton è una di quelle».

Cosa successe quel pomeriggio del 2010 nel campo di allenamento?

 «Durante un allenamento non mi sono sentito bene, molto ingenuamente ho pensato ad un mancamento sebbene io non ne abbia mai sofferto. Sicuramente non potevo immaginare quello che in realtà mi stava succedendo».

Quando eri sdraiato sul letto d’ospedale quali pensieri ti giravano per la testa?
«Dopo un po’ di confusione, nella mia ingenuità di ragazzo, ero convinto fosse una cosa di poco conto e all’inizio pensavo di riprendere la vita di tutti i giorni dopo una normale degenza. Purtroppo pian piano mi si sono schiarite le idee su ciò che realmente mi era accaduto».

Nel 2014 fai conoscenza dell’Itis Marconi, un incontro che in un certo qual modo ti
rivoluziona la vita…

 «Parlare di rivoluzione forse è esagerato, però dopo quello che mi era successo è stato bellissimo trovare un nuovo sport da praticare e, soprattutto, dei compagni di club con cui giocare e divertirsi».

Leggevo che gareggi nella categoria SL3 di parabadminton… ci spieghi come si articolano queste classi?

 «Senza andare nello specifico, le prime due sono per i giocatori in carrozzina (denominate WH1 e WH2), poi ce ne sono altre due, tra cui la mia SL3 – SL4, che procedono per gravità dell’handicap all’arto inferiore. Infine, le ultime due categorie: quella degli SU5 per coloro con disabilità ad un arto superiore e quella degli SS6 per coloro affetti da nanismo»

Le Olimpiadi sono il sogno ultimo di ogni atleta, normodotato o affetto da disabilità che sia: quello olimpico è un orizzonte che in futuro ti piacerebbe inseguire?

 «Certo che sì, nella vita è giusto porsi obiettivi del genere! Poter rincorrere una tale meta penso sia il sogno di ogni atleta e speriamo un giorno di avere i mezzi per poterlo fare».

Mi ha colpito la frase che ti sei tatuato sul braccio: “You will never walk alone”. Il tuo viaggio nella vita e nello sport non lo compirai mai da solo…

 «Non bisogna mai sentirsi soli, nello sport come nella vita. Io ho la fortuna di aver sempre potuto contare sulla mia famiglia e sui miei amici, e spero di continuare a compiere questo viaggio con loro».

“Le disabilità non devono essere viste come montagne insormontabili, ma come sfde da vincere con coraggio”. Ti ritrovi in queste parole?

 «Assolutamente sì, il coraggio è fondamentale per non perdersi. Ognuno ha i suoi tempi, ma non bisogna mai staccare gli occhi dalla cima per poterla oltrepassare. È una grande verità»

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