I Montoriesi Claudio Dal Bosco (1934-1991) e Franco Baschera assieme a Milo Navasa (1925-2009) tracciano la via Verona sul Brenta
Il “Rubino del Brenta” ovvero il pilastro est della Cima Brenta, definito da Ettore Castiglioni il “grandioso e complesso massiccio roccioso ghiacciato”, alto 3150 metri è una delle più alte e selvagge pareti dell’intero gruppo del Brenta. L’appellativo “Rubino” deriva dal colore della roccia che lo fa apparire simile ad una pietra preziosa incastonata tra le rocce.
La cima viene raggiunta da Agostini nel luglio del 1930, ma con una via laterale ben distante dal “pilastro rosso”. Nel 1936 Armani e Friederichsen, salgono sul bordo a destra del massiccio. Nel 1947 Stenico, Detassis, Sebastiani e Franceschini inaugurano la via nuova sul lato sinistro.
La vera parete e il superamento diretto dei sui strapiombi rossi rimane un sogno impossibile fino agli anni ’60. Vari alpinisti provano l’impresa, ma mancanza di materiale adeguato e anche sfortuna bloccano i tentativi.
In quel periodo Milo Navasa (1925- 2009) Originario di Venezia, ma stabilitosi fin da giovane a Verona, è uno dei massimi esponenti dell’alpinismo dolomitico e mette a punto un’organizzazione impeccabile e un collaudatissimo sistema che si basa sull’apporto di due fortissimi compagni montoriesi, Claudio Dal Bosco e Franco Baschera.
Milo, un tipo magro come un chiodo, carismatico, comunicativo, determinato e amico di tutti, aveva iniziato a frequentare le dolomiti compiendo diverse ascensioni con Franco Chierego. In arrampicata è preciso, sicuro, calmo, mai avventato e infonde ai componenti la cordata entusiasmo, serenità e fiducia.
Navasa, nei primi anni ’50, quando la conquista del primo ottomila (Annapurna 3.6.1950) contribuisce a riaccendere gli animi dell’alpinismo italiano, assieme ad Angelo Poiesi, Franco Chierego, Mario Boni, si prende a cuore il non facile compito di rivitalizzare la sezione alpinistica dell’ambiente veronese.
La situazione veronese, fino ad allora, eccezion fatta per l’escursionismo di gruppo, dava solo deboli cenni di risveglio (l’unico elemento di spicco, l’accademico Priarolo, era caduto il 4 agosto 1947 vittima di un fatale incidente occorsogli sulla Prima Torre di Sella).
La nuova stagione dell’alpinismo veronese riparte con l’organizzazione del primo corso di roccia nel maggio 1952. Il lusinghiero successo dell’attività incentiva l’idea di costituire anche a Verona una Scuola d’alpinismo che diviene in breve tempo una delle più prestigiose scuole italiane, e fiore all’occhiello della Sezione di Verona del Cai.
Nel ’56 Chierego e Navasa superavano brillantemente l’esame di Istruttore Nazionale di Roccia e Navasa, il 5 dicembre viene nominato primo direttore della Scuola veronese che assume la denominazione “G. Priarolo”.
Milo organizza attività e lezioni (teoriche e pratiche) con una didattica che riesce ad appassionare gli allievi e si mette in luce in numerose non facili ascensioni assieme ad altri giovani. Tra loro Giancarlo Biasin che unisce alle doti fisiche una tecnica sopraffina e Claudio Dal Bosco un formidabile arrampicatore che sotto la rude scorza montanara nasconde una sensibilità d’animo veramente unica, dotato di una notevole forza fisica che gli permette di superare d’istinto ogni difficoltà,
Claudio Dal Bosco, brevilineo, di un’allegria contagiosa, nativo di Giazza ma montoriese d’adozione, è un lavoratore accanito che, per riposarsi, va ogni domenica a fare scalate difficilissime (per gli altri). Tappezziere di professione, è di animo generoso, gran fumatore e buon bevitore, indifferente al freddo ed alla fatica e buon fotografo. Socio del Gruppo Alpino Scaligero Verona (Gasv) Dal Bosco, è un mostro di bravura in montagna: un curriculum impressionate, grande disponibilità per gli allievi della scuola Priarolo e per tutti quelli che gli chiedono di fare da capocordata perché Claudio è una garanzia di sicurezza. A lui è dedicata una via nelle Alpi Carniche.
L’incontro con Milo Navasa è provvidenziale e insieme aprono alcuni degli itinerari di roccia più importanti delle Dolomiti.
Dal Bosco parteciperà con onore ad una spedizione himalayana dell’autunno 1969 per il Churen Himal (7371) nel gruppo del Dhaulägiri ad est dell’Everest, contrastata da un meteo impossibile, arrivando a 6550 metri.
Milo, un leader naturale anche in cordata, affronta molte salite con Dal Bosco coinvolgendo spesso anche il giovane montoriese fortissimo Franco Baschera, che in seguito, per 29 anni, diventerà il gestore del rifugio Fraccaroli sul Carega .
E da questi incontri che nasce il progetto dell’impresa sul Brenta.
Il trio Navasa, Dal Bosco e Baschera, altamente preparato e qualificato (tutti alpinisti istruttori) dopo aver messo a punto il programma il 13 luglio 1964 inizia la salita sul “Rubino Rosso” nell’immensa parete Sud di Cima Brenta.
La cordata magica veronese conclude l’ascensione in quattro giorni e mezzo (dal 13 luglio al 17 luglio) tracciando un itinerario nuovo di altissima difficoltà (è tuttora poco ripetuta). Superano in perfetto stile alpino, senza aiuti dal basso, il pilastro con un tracciato estremo aereo e dedicano la via alla loro città Verona: sono 600 metri di grado 6+ a
via Verona, 650 m, VI, A3 e AE, 150 chiodi, 18 a pressione e 10 cunei.
I primi 200 m. di zoccolo si svolgono su roccia grigia, il tratto centrale su una lavagna strapiombante e rossastra di 250 m, i rimanenti 200 m. sulle rocce facili della via normale da Nord. La linea di salita è data da una lunga e sottile fessura al centro della parete rossa, che termina in alto, dopo un’interruzione, con un diedro-colatoio nero adducente alla Cengia Garbari.
Chiodi usati: circa 150 normali, 18 a pressione, circa 15 cunei; lasciati in parete: circa 60 normali, 18 a pressione, 10 cunei.
Sulla parete rossa e strapiombante quasi tutti i punti di sosta sono su staffe; con neve sulla Cengia Garbari il diedro-colatoio finale che scarica molta acqua. Dislivello totale: 650 m. Difficoltà: III° e IV° sullo zoccolo; VI°, A3, Ae nel tratto centrale.
I tre alpinisti si rendono protagonisti di un’altra impresa l’anno successivo. Dal 22 al 26 giugno 1965 con un capolavoro dell’arrampicata disegnano e aprono una pista sulla roccia «dolomia principale» della parte nord della Rocchetta Alta di Bosconero, nella Dolomiti di Zoldo (2412), 200 metri più alta della Cima Grande delle Lavaredo e con difficoltà almeno pari.
700 metri percorsi per la prima volta in quattro giorni e mezzo (strapiombi, diedri, placche verticali, fessure e tetti costantemente).
Con quattro corde da 40 metri, una da 70 e 300 chiodi, Navasa, Baschera e Dal Bosco colmano uno dei vuoti dell’arrampicata dell’epoca, una parte di sesto grado e sesto superiore, e poi l’A1, l’A2 e l’A3, secondo la classificazione alpinistica. È una salita di estrema difficoltà al punto che Reinhold Messner, il re degli Ottomila, la considera fra le 50 scalate più difficili delle Alpi.
La chiameranno “Via de le grole” dal nome della scuola di alpinismo scaligero che Navasa dirige, dove Dal Bosco e Baschera sono istruttori. Adesso è un’ambita classica degli alpinisti più capaci.
Milo e Claudio chiudono in bellezza nel luglio 1973 sullo spallone Est del Sassolungo (3181). In tre giorni costellati di temporali furiosi, aprono una via durissima di 700 metri con tre bivacchi: la via “Cristina” dedicata alla figlia del presidente del Cai Guido Chierego, tragicamente scomparsa, considerata da Navasa «la mia via più bella e la mia salita più dura»
Nella “Giornata della memoria”, il 27 gennaio 2005, il sindaco di Verona decora Milo Navasa con la medaglia d’oro della città. A lui è dedicata una strada in Borgo Milano. A San Pietro in Cariano la sezione Cai gli ha intitolato la sua scuola di alpinismo.
Il 22 settembre 2013 alla presenza delle autorità cittadine, dei rappresentanti dei gruppi alpinisti veronesi e dei parenti e amici è stata intitolata una strada agli alpinisti veronesi Navasa e Dal Bosco a Quinto in Valpantena e a ricordo delle imprese di Claudio e Milo e stata scoperta una targa commemorativa.
Milo Navasa e Claudio Dal Bosco diedero grande lustro al Cai Verona ed il Gasv anche in ottica nazionale ed internazionale. Erano stati eletti, con Biasin nel Club Alpino Accademico Italiano, la créme dell’alpinismo. Navasa anche in quello francese. Le loro imprese sono leggenda, quella della Rocchetta è citata con gli elogi da Messner nel libro «Le cento scalate più difficili delle Alpi».