Omaggio ai miei maestri – Bepo Merlin


L’uso della parola in pubblico lo acquisii grazie all’aiuto di alcuni miei educatori

di Bepo Merlin

Parlare e scrivere bene è, da sempre, frutto di doti innate e di preparazione.
Anche se tutti si mettono a ridere quando lo dico, da piccolo ero un bambino molto timido e taciturno. Mi vergognavo addirittura a parlare con mia mamma e amavo la solitudine che, per fortuna, potevo avere facilmente essendo nato in campagna e senza recinzioni intorno alla casa.
Quando andai a scuola, a sei anni e mezzo, non dovevo essere del tutto analfabeta, grazie al fatto che mentre i miei fratelli più grandi, alla sera, dopo il rosario, svogliatamente, si mettevano a fare i compiti ed aprivano il “sussidiario” o il libro di lettura, io sbirciavo alle loro spalle e, probabilmente, ero più interessato di loro.
In quarta elementare, la mia maestra mi portava in giro per le quinte elementari a leggere i miei temi ed era tale la vergogna che provavo che credo di aver cominciato allora a sviluppare i prodromi del futuro infarto.
Beh, forse sto esagerando…
Insomma, un po’ di predisposizione per la scrittura ce l’avevo.
L’uso della parola in pubblico, invece, lo acquisii a partire dall’adolescenza, grazie all’aiuto di alcuni miei educatori che mi obbligarono a leggere o a recitare in pubblico.
Ma sarei rimasto un timido introverso e asociale se non avessi avuto la fortuna di trovare tanti maestri di retorica (nel significato di arte di parlare e scrivere con proprietà) i quali, coscienti o meno, mi hanno trasmesso il loro sapere.
Tra loro, oltre alle mie insegnanti delle elementari e ad alcuni delle medie, devo citare soprattutto gli insegnanti dei corsi di comunicazione che seguii da funzionario regionale tra gli anni novanta e gli anni duemila. Erano bravi professionisti che mi trasmisero le tecniche di comunicazione.
Anche il teatro amatoriale, che ho frequentato (seppur con scarsi risultati) per una trentina di anni, mi ha aiutato a vincere la timidezza.
Ma ci sono soprattutto alcuni personaggi che non dimenticherò mai, perché sono stati, a loro insaputa, i miei modelli e voglio qui ricordarli, scusandomi con altri che pure mi hanno aiutato molto a migliorarmi.
Inizio con Don Gino Oliosi, del quale non condivido la visione religiosa, che coinvolse me ed altri ragazzi, alle medie, nella preparazione di lezioni di latino da tenere ai nostri compagni. Avanti decenni nel metodo d’insegnamento.
Il maestro Lucillo Mirandola, di Cerea, coinvolse me e tutto il gruppo adolescenti della parrocchia nella gestione della biblioteca. Da quell’impegno nacque la mia passione per la ricerca storica e per il giornalismo. Con lui, infatti, creammo il primo giornalino locale ove scrissi i miei primi articoli.
L’amatissimo don Franco Fiorio, con la sua capacità unica in tale ambito, mi ha insegnato a parlare ai bambini per far capire le cose agli adulti.
Don Lino Beghini, con le sue prediche spettacolari, piene di suspense e di colpi di scena mi insegnò a tenere sempre alta l’attenzione. Fu lui, tra l’altro, che determinò la mia presa di coscienza di alcune doti che non sapevo di avere.
Don Giovanni Giusti: il suo rispetto dei tempi assegnati e la capacità di condensare in mezz’ora lezioni che avrebbero meritato una mattinata intera era stupefacente. La sua chiarezza di linguaggio è rimasta insuperata.
Direte: ma sono quasi tutti preti!
Cosa ci posso fare? Gran parte della mia formazione è avvenuta in campo cattolico dove, contrariamente ad altri, io ho avuto la fortuna di trovare molte brave persone.
Ma non finisce qui, perché ci sono anche molti laici nel pantheon dei miei maestri, a partire da Emilio Butturini, carissimo amico, professore universitario, grande oratore, che mi ha insegnato a parlare anche di argomenti difficili e complessi con parole comprensibili anche ai meno istruiti. Alle conferenze si presenta con un pacco di libri della sua impressionante biblioteca. Sono libri che sicuramente lui ha letto con molta attenzione e il cui contenuto trasmette all’assemblea con una chiarezza di linguaggio disarmante.
Da lui ho imparato a non usare parole dotte o straniere, indispensabili per parlare dell’argomento, senza averne prima spiegato il significato.
Altri due maestri di parola sono Alberto Angela, divulgatore di prima grandezza, e il professor Alessandro Barbero, che ha la capacità di far quasi rivivere le vicende della storia, rendendole avvincenti come se fossero puntate di serial televisivi.
I miei maestri di scrittura, invece, oltre ai classici della letteratura italiana (Manzoni, Verga, Leopardi, Deledda, Cassola, ecc.) sono due giornalisti, con i quali condivido la tendenza all’ironia e alla battuta.
Da Michele Serra, che leggo ogni giorno con immutato piacere, ho preso il gusto della brevità dei brani e delle frasi.
Del grande e compianto Vittorio Zucconi, che ho avuto il privilegio di conoscere personalmente alcuni anni fa, ho sempre ammirato la capacità di coinvolgere il lettore in racconti apparentemente leggeri e quasi banali e di stupirlo, poi, con un improvviso colpo di teatro.
E’ giusto dire che di cotali maestri io sono stato un allievo non proprio modello. Un po’ musso (asinello), come si dice da noi in Veneto. Ma non potevo non ricordarli e ringraziarli pubblicamente.

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