Lo scoppio di forte Castelletto. Il racconto di Alberto


13 settembre 1943 scoppia il forte

Articolo pubblicato il 13 settembre 2019 – Aggiornato il 13 settembre 2020

Sono sul ponte Trivellin a Montorio e sto aspettando che mia madre mi chiami per andare a pranzo, quando sento un boato tremendo. Vedo sui monti tra Cancello e Moruri una colonna enorme di fumo simile ad un fungo atomico. L’esplosione produce una enorme vampata di calore che cuoce e colora di verde le pietre rimanenti del manufatto.

Vengono subito a chiamare mio papà Andrea Montignani che è medico. Insieme al prete parte con l’auto, una Topolino, per raggiungere il luogo dello scoppio per soccorrere i feriti. Al ritorno mio padre è sconsolato e scuotendo la testa dice a mia madre: “Non ho potuto fare molto, c’erano solo pezzi di corpi distrutti sparsi sul terreno”.

Purtroppo dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 la guarnigione di soldati incaricati di fare la guardia al forte, ha abbandonato la casermetta. Molti sapevano che era molto pericoloso avvicinarsi al forte, ma altri, forse inconsapevoli si sono avventurati tra le stanze del forte per recuperare i sacchi di juta, che contenevano l’esplosivo, da utilizzare per fare vestiti o per far materassi o coperte. Hanno svuotato i sacchi disperdendo a terra tutta la polvere esplosiva. Forse l’innesco per lo scoppio è stato prodotto da un mozzicone di sigaretta.

Alberto Montignani sulle sponde del laghetto Squarà

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