L’Associazione nasce con l’intento di poter creare un’entità capace di perseguire uno scopo avente un’utilità sociale. La naturale attività svolta da un’associazione si configura infatti tra quelle definibili non commerciali, questo però non preclude che essa possa svolgere anche altre tipologie di attività. Quando occorre aprire la Partita IVA per un’Associazione? È prevista solo nei casi in cui le entrate siano fiscalmente rilevanti, escludendo quelle istituzionali e le quote associative. Spesso basta il codice fiscale, è invece obbligatoria per chi ha rapporti con la pubblica amministrazione o svolge attività commerciali.
Aprire la Partita IVA è un passo importante per un’Associazione. Non tutte però, hanno la necessità di farlo in quanto spesso le entrate che percepiscono non sono fiscalmente rilevanti. Come si legge in un articolo del Cantiere terzo settore, non è chiamata a richiederne l’apertura l’Associazione che si limiti a percepire:
- Entrate istituzionali, intendendo tali quote e contributi associativi così come erogazioni liberali.
- I corrispettivi specifici versati dai soci per partecipare ad attività inerenti ai fini istituzionali dell’organizzazione (es: l’iscrizione ad un corso di scrittura creativa o ad una manifestazione sportiva). Queste entrate, infatti, non concorrono alla formazione del reddito imponibile (ex art. 148, terzo comma e seguenti del Testo Unico delle imposte sui redditi) e non sono da assoggettare ad IVA (ex art. 4 del DPR IVA). Tale agevolazione è concessa esclusivamente alle tipologie associative elencate dall’art. 148, terzo comma, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), come le Associazioni culturali, politiche, Sportive Dilettantistiche o di Promozione Sociale, e a condizione che l’Associazione rispetti, statutariamente e nella sua gestione, i vincoli dell’assenza di scopo di lucro, trasparenza gestionale e democraticità associativa. Alle Associazioni che abbiano assunto la qualifica di Organizzazioni di Volontariato e di Onlus è oggi riservato uno speciale e diverso trattamento fiscale (rispettivamente definito dalla Legge 266/1991 e dal D.Lgs. 460/1997 ancora in vigore).
Il Codice del Terzo Settore (CTS) ai commi 2, 3 e 4 dell’art. 79 definisce non commerciali le seguenti attività di interesse generale svolte dagli Enti del Terzo Settore (ETS):
- attività a titolo gratuito;
- attività dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi, tenuto conto anche degli apporti economici delle pubbliche amministrazioni, anche sovranazionali o straniere, e al netto dei contributi pubblici non previsti come obbligatori dall’ordinamento. Per costi effettivi non si intendono solo i “costi di diretta imputazione” (articolo 143, c. 1, DPR 917/86), ma tutti i costi sostenuti dall’Ente;
- attività i cui ricavi non superano di oltre il 5% i relativi costi per ciascun periodo d’imposta e per non oltre due periodi d’imposta consecutivi.
- le attività di ricerca scientifica di particolare interesse sociale, se svolte direttamente da un ETS che le svolga come finalità principale e purché tutti gli utili siano interamente reinvestiti nell’attività di ricerca e nella diffusione gratuita dei risultati, e non vi sia alcun accesso preferenziale da parte di altri soggetti privati ai risultati prodotti. Le stesse sono considerate non commerciali anche se affidate ad università ed organismi di ricerca che le svolgono direttamente, secondo modalità e ambiti normativamente stabiliti (DPR 135/2003);
- le attività sociali, sanitarie e socio sanitarie, se esercitate da Fondazioni ex Ipab, a condizione che gli utili siano interamente reinvestiti nelle suddette attività e che non sia previsto alcun compenso a favore degli amministratori.
- i fondi pervenuti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente;
- i contributi e gli apporti da parte di pubbliche amministrazioni per lo svolgimento, anche convenzionato o in regime di accreditamento delle attività di interesse generale.
Solo per particolari categorie di ETS non sono commerciali le seguenti attività:
per le Organizzazioni di Volontariato (OdV) vengono considerate non commerciali:
- la cessione di prodotti dagli assistiti e dai volontari, a condizione che la vendita sia curata direttamente dall’organizzazione;
- la somministrazione di alimenti e bevande in occasione di raduni, manifestazioni, celebrazioni e simili a carattere occasionale.
per le Associazioni di Promozione sociale (APS), invece, sono considerate non commerciali:
- le attività istituzionali svolte dietro corrispettivo specifico nei confronti degli associati e dei familiari conviventi degli stessi; ovvero degli associati di altre associazioni che svolgono la medesima attività, ovvero nei confronti di enti composti in misura non inferiore al 70% da enti del terzo settore;
- le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati e a familiari e ai conviventi degli stessi verso pagamento di corrispettivi specifici, se in attuazione di scopi istituzionali:
- la somministrazione di alimenti e bevande effettuata presso le sedi in cui viene svolta l’attività istituzionale da bar ed esercizi similari, l’organizzazione di viaggi e soggiorni turistici, se strettamente complementari a quelle istituzionali e rivolte agli associati, familiari e conviventi, e non si avvalgono di strumenti pubblicitari/diffusione di informazioni a terzi, diversi dagli associati.
Per quanto riguarda le ASD, quest’ultime non vengono menzionate tra gli ETS tipici previsti dal nuovo Codice del Terzo Settore e vengono catalogati come “Altri enti del terzo settore”. Come tali non avranno obbligo di iscriversi al Registro Unico Nazionale del Terzo Settore, iscrizione che invece sarà obbligatoria per OdV (Organizzazioni di Volontariato) e APS (Associazioni di Promozione Sociale). Per le ASD era già prevista una normativa speciale della Legge 398/1991 che verrà abrogata per gli altri enti associativi ma rimarrà valida per le ASD, compreso lo specifico regime fiscale ivi previsto.
Per le ASD, occorre fare riferimento alle norme del TUIR per cui sono istituzionali e quindi non commerciali le seguenti attività:
- le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali (art. 148 TUIR, c.3 – c.d. “decommercializzazione speciale”);
- la vendita di pubblicazioni cedute prevalentemente ad associati (art. 148 TUIR, c.3 )
In una ASD sono considerate sempre attività commerciali (art.148, c.4 TUIR):
- gestione di un bar e ristorante interno (somministrazione di pasti);
- cessione di beni nuovi prodotti per la rivendita (quali indumenti, attrezzi, ecc. anche se il prezzo di vendita è inferiore o uguale a quello di acquisto);
- organizzazione di gite e viaggi e soggiorni turistici a titolo oneroso;
- gestione fiere, esposizioni a carattere commerciale;
- prestazioni di vitto (alberghiere) e di alloggio;
- le prestazioni di trasporto e di deposito;
- pubblicità commerciale;
- sponsorizzazioni;
- cessione di beni nuovi prodotti per la vendita;
- erogazioni di acqua, gas, energia elettrica e vapore;
- prestazioni alberghiere e di alloggio;
- gestione di spacci aziendali e mense.
La Partita IVA non sarà necessaria quando un ETS svolge solo attività non commerciali o per le ASD che svolgono esclusivamente attività istituzionali. In tal caso il solo codice fiscale è sufficiente per stipulare contratti così come instaurare rapporti di lavoro con i propri collaboratori ed assolvere gli adempimenti di natura fiscale e previdenziale a cui sono tenute le Associazioni anche se titolari di solo codice fiscale. La Partita IVA in questi casi è un inutile aggravio di adempimenti fiscali e gestionali.
Sarà invece necessaria nel caso venga svolta non occasionalmente una attività di tipo commerciale anche non prevalente. È possibile infatti che un ETS svolga attività commerciale non prevalente e mantenga pertanto l’appellativo di ETS non commerciale. Ma per la parte di attività commerciale sarà necessario comunque dotarsi di una Partita Iva ed aderire a regime contabile, solitamente forfettario, previsto per queste specifiche tipologie associative.
Dal punto di vista teorico, l’Associazione potrebbe non aprire la partita IVA nel caso in cui l’attività di natura commerciale sia occasionale e non implichi una organizzazione complessa: in questo caso si andrà comunque a generare un reddito (c.d. reddito diverso) da assoggettare a tassazione per cui si rende opportuno valutare se sia invece fiscalmente più opportuno aprire la partita IVA in regime forfettario.
Nel caso di enti associativi che svolgono attività di tipo commerciale sarà necessaria la Partita IVA, sia per aderire a ad un regime fiscale e contabile, sia per l’emissione di fatture riferite all’attività commerciale svolta. In determinate condizioni sono comunque disponibili dei regimi contabili e/o fiscali che permettono la semplificazione di adempimenti e liquidazione forfettaria dell’imposta (IVA o IRES).
Per le ASD è ben noto il regime della legge 398/1991 che permette a chi non supera i 400.000 euro di entrate commerciali di liquidare le imposte in misura forfettaria (le imposte dirette ammontano circa all’1% dei ricavi commerciali mentre viene liquidato il 50% dell’iva sulle fatture emesse, salva la maggiore aliquota per la cessione dei diritti radio-televisivi) e di accedere a semplificazioni contabili. Tale regime, con l’entrata in vigore del CTS (Codice del Terzo Settore) titolo X, rimarrà esclusivamente riservato alle ASD che non si vorranno qualificare come ETS.
Le Associazioni di Promozione Sociale (APS) e le Organizzazioni di Volontariato (OdV) potranno accedere ad un analogo regime agevolato (art. 86 CTS) qualora i ricavi commerciali non superino i 130.000 euro mentre negli altri casi potranno optare, come la generalità degli enti del terzo settore non commerciali, per un regime forfettario ai soli fini delle imposte dirette, dovendo quindi liquidare l’IVA in regime ordinario IVA da IVA (art. 80 CTS).
La richiesta della Partita IVA dovrà essere presentata compilato l’apposito modello AA7/10 disponibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate, alla quale dovrà pervenire eligendo una delle seguenti tre modalità:
- nel caso di soggetti obbligati all’iscrizione al registro delle imprese attraverso la piattaforma Comunicazione Unica (ComUnica);
- direttamente presso l’ufficio competente dell’Agenzia delle Entrate in duplice esemplare direttamente anche a mezzo di persona appositamente delegata;
- in unico esemplare a mezzo servizio postale e mediante raccomandata, allegando fotocopia di un documento d’identità del dichiarante, da inviare a un qualunque ufficio dell’Agenzia delle Entrate, a prescindere dal domicilio fiscale del contribuente, per via telematica direttamente dal contribuente o tramite i soggetti incaricati della trasmissione telematica.
L’apertura della partita IVA porta, però, con sé molti nuovi adempimenti fiscali e contabili ai quali l’Associazione dovrà successivamente sottostare. Infatti una volta aperta, l’Associazione è chiamata a trasmettere la dichiarazione dei redditi, anche se non ha emesso fatture, con un conseguente costo gestionale da affidare ad un professionista esperto nel terzo settore .
D’altro verso non aprirla, se necessaria, (i tanti casi di beni con la richiesta di “0fferta libera a prezzo imposto” andrebbero seriamente analizzati dal Direttivo dell’Associazione) invece espone a rischi di accertamento fiscale per evasione di tributi diretti ed indiretti dovuti (IVA o imposte sui redditi) o sanzioni per omissioni di adempimenti contabili obbligatori. Inutile dire che chi ne risponde è il Presidente dell’Associazione e a seguire il Direttivo della stessa.
Alberto Speciale