25 novembre 2020 – Giornata mondiale contro la violenza sulle donne – L’amore è un’altra cosa


La grande casa dell’associazione Protezione della giovane

“Urla soffocate, ma non inascoltate. Da quei vicini che da tempo avevano capito. Irma prova a reagire in silenzio, con il pianto. Il suo però è il classico silenzio che fa rumore e lui la denigra dicendo “che razza di donna sei!”.

“Le voci del silenzio. Una casa per ricominciare”.
(Silvia Beltrami, Margherita Pasi)

La storia di Irma è come quella di tante altre donne che hanno conosciuto la violenza dei loro uomini, che hanno scambiato amore e protezione con possesso e violenza. La storia di Irma è anche quella di altrettante donne che hanno avuto la forza di reagire e costruirsi una seconda possibilità per capire che a sbagliare non erano loro, ma chi diceva di amarle. C’ è un luogo in centro, in Via Pigna, con un grande portone che accoglie donne che non hanno più una casa dove stare o perché la loro è diventata troppo pericolosa. Incontriamo oggi Lorella Vesentini, montoriese di adozione, che in quella casa di accoglienza lavora come volontaria assieme a tante altre persone che sono convinte che la violenza sia affare di tutti e non solo di chi la subisce. Lorella da circa sette anni è volontaria e membro del direttivo dell’associazione “La protezione della Giovane” che dagli anni ’80 si occupa di accogliere donne in difficoltà.

Lorella, raccontaci un po’ la storia di questa associazione e di questo luogo di accoglienza.

Protezione della Giovane è un’associazione di volontariato, nata per rispondere alle problematiche sociali legate all’emergenza abitativa femminile; nello specifico offre un servizio di accoglienza, di ascolto e un appoggio materiale e morale alle donne in difficoltà, lontane o allontanate dal proprio nucleo familiare, o che ne sono prive. La finalità principale è l’accoglienza, l’accompagnamento e il supporto psicologico. Oltre alle 55 stanze della casa è stato inaugurato da poco anche un nuovo appartamento che può ospitare due nuclei famigliari. È un modo per accompagnare e traghettare le donne nel mondo reale attraverso un percorso graduale.

In quanti siete e di cosa vi occupate?

Siamo 55 volontari e ci occupiamo di tutto, la struttura ha una reperibilità 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. L’associazione inoltre si avvale anche di una psicologa che offre un’importantissima attività di supporto psicologico costante.

Una grande casa, sempre pronta all’accoglienza, che cosa comporta in termini di risorse?

Solo per citare alcuni numeri dal gennaio 2020 ad oggi sono state ospitate 40 donne e 30 bambini. Attualmente ne stiamo ospitando 16 con 10 minori.  Dall’inizio dell’anno sono state distribuite 240 borse di spese e 120 per igiene personale. Possiamo contare su aiuti alimentari derivati da donazioni di privati e aziende e dal banco alimentare.

Qual è la difficoltà più grande che devono affrontare le donne quando arrivano da voi?

Sono tutte donne che devono lasciare non solo la loro casa, ma anche la loro vita fuori da quel portone. Sono smarrite, impaurite, si ritrovano senza alcun tipo di certezza; la maggior parte non ha più un lavoro, non conoscono nessuno e non sanno che cosa sarà del loro futuro. La cosa più difficile è capire come avvicinarle, generalmente i primi giorni si chiudono in camera e vivono in un istintivo torpore silenzioso. Ricordo una giovane con il suo bambino sempre in braccio. All’inizio non capivamo perché non camminasse, poi abbiamo scoperto che non aveva mai messo piede a terra per paura di far rumore. Un’esistenza silenziosa vissuta con la paura di disturbare quel padre che scambiava i suoni dell’infanzia per fastidioso frastuono; una vita fatta di digiuni per non infastidire un marito con il rumore del cibo. I volontari non giudicano mai, aspettano e ascoltano il silenzio delle donne, attendono il loro tempo. Le donne che arrivano qui si sentono sbagliate, patiscono la vergogna di subire e covano dentro un grande senso di inferiorità.  Nel loro animo aleggia sempre quella frase detta con disprezzo “che razza di donna sei!”.

Quanto conta educare al rispetto e da che età bisogna iniziare?

Il compito dei genitori è trasmettere i valori di base di una vita sana, dove si possa stare bene e sentirsi amati. Un bambino che cresce in una famiglia piena di affetto non può immaginare che ci siano papà e mamme incapaci di amare. Ovviamente non dobbiamo stravolgere questa idea positiva, ma è importante trovare le modalità adeguate per far conoscere ai bambini anche realtà diverse, questo li aiuterà in futuro ad essere più sensibili…e maturare un concetto di rispetto che può iniziare anche dalle piccole cose.

L’anno scorso Protezione della giovane era presente alla serata di presentazione del Montoriocalcio fc, che da alcuni anni porta sulle proprie maglie due scarpette rosse, quanto contano i simboli come questi?  

Direi tanto. L’anno scorso abbiamo accolto con molto piacere l’invito del Montoriocalcio, anzi ci siamo anche un po’ stupite perché era la prima volta che una società di calcio si avvicinava alla nostra realtà. La loro scelta non è affatto scontata, la condivisione è stato un momento molto importante perché quelle scarpette rosse hanno preso forma, si sono concretizzate in una voce, in una storia…in qualcosa di reale. I simboli sono importanti se, come in questo caso, dietro c’è l’impegno e la volontà di progettare una cultura del rispetto che si adopera per uno sport senza pregiudizi e violenza.  

Lorella che messaggio di speranza ti sentiresti di dare a tutte le donne, anzi a tutte le persone che in questo momento subiscono violenza?

La casa è un piccolo mondo, a vederla da fuori sembra una casa normale, dove la violenza sembra lontano…nessuno però nasconde niente è solo che qui prima del dolore si vede la speranza.

Il filmato: Protezione della giovane – Associazione di Verona

 

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