Scritto da Barbara Salazer con prefazione di Maria Luisa Costantino e postfazione di Erna Corsi.
Il ricavato dalla vendita di questo libro sarà interamente devoluto a IL PONTE Cooperativa Sociale di Verona
Un pomeriggio pigro di semi-lockdown rimuginavo sull’ennesimo scontro con un uomo, un collega nello specifico, e sulla facilità con cui ormai ci siamo rassegnate a “lasciar perdere”, stanche di dire cose che nessuno sente e di ritrovare come risposta sempre gli stessi cliché, le stesse frasi fatte, le solite reazioni automatiche.
Dal mio divano mi sono chiesta quante volte noi donne veniamo lapidate dalle pietre lanciate dai maschi della nostra vita, personale o lavorativa. Le parole che ci sentiamo urlare o, peggio, sussurrare sono come pietre, hanno un peso enorme e ho tradotto i miei pensieri in un post sui social, un breve testo arrabbiato che raccontava la mia recente esperienza con la superficialità maschile. Ho chiuso con una domanda tanto semplice quanto complicata, per molte di noi: avete voglia di raccontare le parole che vi hanno fatto male?
Non mi aspettavo niente di che, forse un po’ di solidarietà femminile, un dono raro e prezioso; ma so bene quanto sia difficile esporre le proprie vulnerabilità e raccontare, in pubblico, addirittura per iscritto. Eppure, è accaduto l’impensabile: il post di una semplice donna, senza velleità di influencer o seguito milionario, ha scatenato centinaia di reazioni, all’inizio timidamente e poi in una meravigliosa festa liberatoria, con ognuna a commentare le risposte dell’altra. È stato per me particolarmente significativo rendermi conto che persone con un vissuto tanto diverso, da me e tra di loro, avessero sperimentato le stesse situazioni, addirittura le stesse parole. Persone anziane che prendono entusiaste i consigli di ragazzine, manager affermate che fanno comunella con casalinghe disperate. Si sono annullate le distanze, geografiche e culturali. Non potevo lasciare che finisse così, nel tempo fugace dei social, le mie donne dovevano avere una voce.
Ho quindi creato un database di tutte le reazioni, i contributi e le storie, analizzandone la natura specifica, in una sorta di statistica senza alcun valore scientifico, ma importante per me, per noi. Serviva a capire davvero quali sono i nostri demoni, quali gli stereotipi da combattere. Il risultato di quell’analisi è finito in un articolo pubblicato dalla testata “Heraldo”, ripreso nelle parti salienti nel primo capitolo di questo saggio e riproposto integralmente a fine libro.
Solo che il progetto è diventato più grande, ha continuato a vivere e per mesi ho continuato a ricevere storie. Le parole di tutte queste ragazze sono diventate davvero troppe per non raccontarle. In questa pubblicazione ho riportato l’analisi sulle espressioni più frequenti e più dolorose, piccoli racconti tratti dalle storie vere che le autrici hanno voluto condividere con me.
E ci sono, ovviamente, le pietre. Non potevano certo mancare, sparse qua e là, le frasi che tutte ci sentiamo dire, inserite nella loro cruda verità e commentate attraverso le testimonianze di chi ne è stato colpito direttamente.
Nasce in questo strano modo “Parole come pietre”, un’iniziativa partita per caso, senza pretese ma diventata presto un progetto vivo, che si è scritto da solo; usando le mie mani come uno strumento, le amiche reali e virtuali hanno trovato una voce per esprimere il dolore, la rabbia, perfino il loro candido stupore per una discriminazione sotto traccia, giornaliera, pesante come un macigno.